La condivisione dei dati personali fra WhatsApp e Facebook impensierisce, e non poco, l’Europa intera. La modifica della politica della privacy annunciata dal popolare servizio di messaggistica a fine agosto, che prevede la messa a disposizione di Facebook di alcune informazioni sugli account di singoli utenti  anche  per finalità di marketing, sta sollevando l’attenzione delle Autorità per la protezione dei dati personali e dell’Antitrust italiano, che hanno deciso di vederci più chiaro.

Mai come oggi i dati, la loro acquisizione e la loro condivisione sono fonte di potere, per chi li detiene, e di preoccupazione per la loro tutela sia da parte dei singoli utenti sia delle autorità che si occupano di privacy, chiamate a indagare e a cercare di regolamentare un settore particolarmente delicato e in continua evoluzione. Uno dei capitoli più recenti di questo campo di battaglia riguarda la nuova policy sulla privacy annunciata da WhatsApp, che passerà a Facebook diverse informazioni personali dei suoi utenti anche per finalità di marketing. La condivisione dei dati personali fra il popolare servizio di chat   e Facebook è fonte di generale preoccupazione per quanto riguarda la tipologia dei dati che verranno trattati, le modalità con cui gli utenti possono esercitare i propri diritti, l’effettiva libertà loro concessa ed eventuali effetti di condizionamento. In Italia si sono mossi sia il Garante per la Privacy sia l’Autorità Antitrust. Cosa è successo? Alla fine dell’estate WhatsApp ha annunciato il cambiamento. Informava online che “Nulla di ciò che gli utenti condividono su WhatsApp, compresi i messaggi, le foto, e le informazioni dell’account, sarà pubblicato su Facebook”. E proseguiva: “Nulla di ciò che viene pubblicato su queste applicazioni sarà condiviso su WhatsApp per essere visto da altri. Non sarà consentita la diffusione di banner di terzi sulla chat”. Nonostante questo, a settembre l’Autorità per la privacy italiana (http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/5460932) ha avviato un’istruttoria in cui invita WhatsApp e Facebook a fornire tutte le informazioni per valutare la situazione.

In particolare, il Garante vuole sapere nel dettaglio  la tipologia di dati che WhatsApp intende mettere     a disposizione di Facebook, le modalità per l’acquisizione del consenso da parte degli utenti alla comunicazione dei dati e le misure per garantire l’esercizio dei diritti sulla privacy, specialmente considerando che “dall’avviso inviato sui singoli device spiega l’Autorità, la revoca del consenso e il diritto di opposizione sembrano poter essere esercitati in un arco di tempo limitato”. Il Garante vuole inoltre sapere se i dati riferiti agli utenti di WhatsApp, ma non di Facebook, siano anch’essi comunicati alla società di Menlo Park, e di fornire elementi riguardo al  rispetto  del  principio  di  finalità, considerato che nell’informativa originariamente resa agli utenti WhatsApp non faceva alcun riferimento alla finalità di marketing.

Alla mossa dell’Autorità per la privacy ha fatto seguito, a ottobre, quella dell’Antitrust italiano, che ha avviato a sua volta una doppia istruttoria su WhatsApp (http://www.agcm.it/stampa/comunicati/8433-cessione-dati-personali-a-facebook-e-clausole-vessatorie,-doppia-istruttoria-antitrust-su-whatsapp.html) per presunte violazioni del Codice del Consumo. L’Antitrust di fatto vuole accertare se gli utenti della popolare chat si siano sentiti costretti ad accettare  le modifiche contrattuali e se alcune clausole non risultino vessatorie. Nel primo procedimento, l’Autorità garante della concorrenza vuole accertare “se la società americana abbia di fatto costretto gli utenti di WhatsApp Messenger ad accettare integralmente  i nuovi Termini contrattuali, in particolare la condivisione dei propri dati personali con Facebook, facendo loro credere, con un messaggio visibile all’apertura dell’applicazione, che sarebbe stato, altrimenti, impossibile proseguire nell’uso dell’applicazione medesima. L’effetto di condizionamento sarebbe stato, peraltro, rafforzato dalla prespuntatura apposta sull’opzione “Facebook” in una schermata di secondo livello alla quale l’utente accedeva, dal messaggio principale, tramite apposito link”.

A questo si aggiunge un secondo procedimento volto ad accertare la vessatorietà di alcune clausole inserite nei Termini di utilizzo di WhatsApp Messenger che riguardano la facoltà di modifiche unilaterali del contratto da parte della società, il diritto di recesso stabilito unicamente per il Professionista, le esclusioni e le limitazioni di responsabilità a suo favore, le interruzioni ingiustificate del servizio e la scelta del Foro competente sulle controversie che, ad oggi, è stabilito esclusivamente presso Tribunali americani.

E in Europa? Si è mosso Article 29 Working Party,   il gruppo formato dai rappresentanti delle Authority per la protezione dei dati personali dei Paesi europei, che ha espresso preoccupazione sul modo in cui le modifiche della Policy Privacy sono state comunicate e dubbi sull’uso dei dati di persone che ricorrono sì alla chat, ma non sono utenti di Facebook. In una lettera aperta (https://www.cnil.fr/en/article-29-working-party-press-release-0) inviata a WhatsApp a fine ottobre, Article 29 Working Party (WP29) “ha espresso serie preoccupazioni per quanto riguarda la condivisione delle informazioni all’interno della “famiglia delle aziende Facebook “ per scopi che non sono stati inclusi nei termini di servizio e delle politiche della privacy quando gli attuali utenti avevano firmato per il servizio - informa il Gruppo di lavoro - Di conseguenza, sono state espresse preoccupazioni sulla validità del consenso dell’utente, sull’efficacia dei meccanismi previsti per l’esercizio dei diritti degli utenti e sui diritti dei non utenti di Facebook in relazione a tale cambiamento di Policy. Di conseguenza, il WP29 ha chiesto a WhatsApp di comunicare al gruppo di lavoro tutte le informazioni rilevanti il più presto possibile, e ha invitato l’azienda a sospendere la condivisione dei dati degli utenti fino a quando non saranno assicurate appropriate protezioni legali”.

Se dunque nel 2014 la stessa Commissione europea (http://europa.eu/rapid/press-release_IP-14-1088_en.htm ) aveva dato il suo via libera all’acquisizione  di WhatsApp da parte di Facebook, affermando che “non sono concorrenti”, che i consumatori avrebbero continuato ad avere un’ampia scelta di applicazioni e che l’acquisizione non avrebbe ostacolato la concorrenza in un mercato dinamico e in crescita, sembra ora arrivato il momento di valutare attentamente quale sta diventando l’esito di questo cambiamento dal punto di vista dello scambio dei dati personali, obiettivo delle grandi società di comunicazione e vera posta in gioco di una battaglia che vede contrapporsi interessi, diritti, Big Player e cittadini.

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