La Commissione sta lavorando su più fronti per arrivare a un vero mercato unico digitale. Si tratta di una battaglia politica oltre che tecnologica? Quali sono i principali ostacoli a questa unificazione?

Il mercato unico digitale è esattamente il terreno sul quale pian piano tutti gli Stati membri hanno toccato con mano quanto l’unione faccia la forza, poiché agire da soli non ha granché senso. Prendiamo ad esempio le pratiche commerciali sleali: Internet è una lente di ingrandimento per tutto, quindi anche per questo tipo di pratiche e non è pensabile che un Paese affronti il problema da solo, soprattutto se si trova di fronte un grosso  operatore  che  opera  contemporaneamente in  altri  Stati  Membri.  Affrontare  questi  fenomeni tutti insieme  è  di  sicuro  molto  più  efficace. E  poi c’è un’altra questione importante ed è quella del diritto d’autore, il cui quadro regolamentare è causa di frammentazione a livello europeo ed espone i consumatori al rischio del cosiddetto geoblocking. Questa è una delle ragioni per cui la consumazione di  beni  digitali  è  ristretta,  visto  che  ogni  Paese ha una sua legislazione nazionale. Risulta quindi evidente agli occhi dei nostri politici che quella del mercato unico digitale è una sfida da affrontare tutti insieme.  Sarà  pero’  inevitabile  trovare  ostacoli  in fase  legislativa,  probabilmente  soprattutto in  sede di Consiglio,   perché è lì che ogni Paese esprime le sue perplessità nel cambiare norme in vigore da anni a tutela del consumatore. Non va poi sottovalutato il fatto che, nel digitale, opera una grande varietà di attori, dalle potenti piattaforme, tipicamente anche se non esclusivamente statunitensi, alla miriade di grandi, medie e piccole, se non piccolissime, imprese e  singoli  consumatori.  Per  questo  la  Commissione europea ha lanciato il 23 settembre u.s. due ampie consultazioni pubbliche, in particolare in materia di ruolo delle piattaforme e geo-blocking; il fine è di fotografare i vari bisogni e capire come meglio creare un quadro di azione più trasparente ed equo, fedele ai valori di cui  l’Europa è portatrice. Un dato è certo: oggi, il 57% del nostro traffico on-line si svolge su servizi basati negli Stati Uniti.

Non rischiamo di arrivare ad un mercato digitale europeo troppo in ritardo, trovandoci a rincorrere quanto fatto in altri paesi, ad esempio gli Stati Uniti, perdendo per strada alcuni diritti conquistati?

Io credo di no, perché da un migliore funzionamento del nostro mercato digitale qui in Europa possiamo solo guadagnare, cercando di valorizzare al meglio le nostre potenzialità. Quando vedo i temi in discussione in Paesi non-UE, trovo che ci siano tanti punti di contatto con le tematiche dibattute qui in Europa, e non ho la sensazione che, ad esempio, gli Stati Uniti siano  molto  più  avanti  di  noi.  Ti  faccio  l’esempio della  sharing  economy:  gli  Usa  non  hanno  ancora una risposta univoca al fenomeno e non esistono ancora regole uniformi sul come comportarsi in caso di problemi legati alle prenotazioni via Airbnb o Uber. Anche in America si stanno alzando voci, a cominciare da quelle dei concorrenti, che chiedono regole che ristabiliscano equità nelle regole di gioco di mercato. E poi ci sono anche le piattaforme che facilitano l’acquisto di beni tangibili, come eBay e Amazon: se ho dei problemi con quello che ho comprato, c’è il rischio che la piattaforma mi dica “io non sono responsabile” perché lo scambio è avvenuto tra due consumatori. La domanda è: la piattaforma è sempre stata chiara, spiegando al cliente che stava acquistando da un altro consumatore e che non avrebbe potuto invocare la garanzia legale e gli altri diritti tradizionali? In questi casi è fondamentale implementare un forte richiamo alla diligenza professionale affinché i consumatori godano dei diritti di tutela e gli operatori, anche quelli non europei ma che indirizzano le proprie strategie di marketing e vendita ai nostri consumatori, si adeguino alle normative europee.

Abbiamo toccato un altro argomento importante, la sharing economy: come si sta muovendo l’Europa per colmare l’attuale voto legislativo?

Innanzitutto l’Europa sta studiando il fenomeno: sono in corso diversi studi per mappare le tante tipologie di sharing economy. Ad esempio, proprio in Italia sono nate tante forme di scambio collaborativo tra individui privati che si mettono insieme per viaggiare o per fare acquisti di gruppo. Queste forme di economia non sono a scopo di lucro e seguono proprio quella logica di economia sostenibile verso cui l’UE si sta muovendo da sempre. E’ fondamentale individuare con esattezza la differenza tra questi modelli positivi e quelli che invece offrono beni e servizi al consumatore, ponendosi giuridicamente in una zona grigia rispetto alle regole normalmente imposte ad operatori economici che offrono servizi comparabili. In questi casi bisogna anche chiedersi: per il consumatore ci sono più benefici o problemi? In parallelo a questa fase di analisi del fenomeno, si sta portando avanti anche un’azione di valutazione a tutto tondo di alcune cruciali normative europee a tutela dei consumatori per capire se alcune di queste, ad esempio quelle sulla pubblicità ingannevole e sulle pratiche commerciali sleali, siano ancora sufficientemente moderne o se vadano cambiate. Quest’attività viene lanciata quest’anno e dovrà concludersi entro il 2017. Ti do’ un’altra anticipazione: a breve il Collegio dei Commissari adotterà due normative che attualmente sono in fase di preparazione. La prima andrà a colmare un buco evidente dell’attuale quadro normativo europeo: ad oggi non è previsto alcun rimedio or rimborso in caso di acquisto di prodotti digitali difettosi. L’altra normativa che verrà proposta mira a semplificare ed armonizzare le regole sui rimedi in caso di acquisto online di beni tangibili: gli acquisti online transfrontalieri sono ancora una minima parte, anche perché il consumatore non si fida delle regole di un altro Paese (non sa ad esempio se gode dello stesso diritto di recesso contrattuale o di riparazione in caso di guasti) e l’imprenditore non si azzarda a fare costosi investimenti legali per assimilare le regole applicabili in altri mercati. Oggi l’armonizzazione è minima, mentre, per aiutare imprese e consumatori a sfruttare al meglio le potenzialità del nostro mercato europeo, abbiamo bisogno di regole del gioco comuni.

Ogni tanto si parla di Digital Tax: l’Europa sta pensando davvero ad una tassa del genere?

L’unica norma che esiste attualmente, dal 1° gennaio, è quella che dice che le imprese devono pagare, nel proprio Paese di stabilimento, l’aliquota IVA del Paese dove il consumatore ha effettuato l’acquisto digitale. L’operatore dovrà solo dichiarare quante transazioni ha  realizzato  e  con  quali  Stati  membri:  il  calcolo totale viene fatto dall’amministrazione nazionale competente. Non mi risulta ci siano piani immediati di imporre altre tasse sugli operatori digitali a livello europeo.

Il tema si incrocia strettamente con la tutela dei dati personali e con un nuovo concetto di privacy. A che punto è la riforma di questa normativa, che risale al 1990?

Siamo in una fase particolarmente calda dei negoziati e si spera di arrivare ad un accordo entro fine anno. Contiamo sul fatto che questa riforma possa vedere la luce quanto prima, permettendo un sensibile miglioramento  dei  meccanismi  per  denunciare  gli abusi  ed    azioni  molto  più  efficaci da  parte  delle Autorità Garanti contro chi ha violato i nostri dati.

In conclusione possiamo riassumere quali sono i nuovi rischi per il consumatore europeo che è sempre più interconnesso?

Dal lato del commercio elettronico devo dire che si è assistito ad un notevole miglioramento della sicurezza dei pagamenti online, e questo ha reso il mercato molto più solido e più sicuro, aumentando la fiducia dei consumatori. Tuttavia non tutti gli imprenditori rispettano in pieno le regole, ad esempio quelle in materia di informazione precontrattuale e quelle volte a permettere al consumatore di esercitare in concreto certi diritti. Purtroppo su questo le cifre sono ancora abbastanza alte e mi auspico che l’industria si adegui al più presto. Dal lato del consumatore c’è poi un dato significativo: gli studi ci dicono che, quando facciamo acquisti online, la nostra attenzione resta vigile per pochissimi secondi, ancora meno di quando utilizziamo un canale tradizionale. Pertanto, l’invito che faccio al consumatore è quello di essere ancora più attento alle  informazioni che riceve e gestisce di  quanto  non  faccia  nel  mondo  offline,  perché, anche se crede di essere solo, non è vero: ci sono tanti altri occhi che guardano quello che fa mentre è su Internet. Allo stesso tempo, un mercato digitale europeo davvero funzionante ci permetterà di trovare infinitamente più beni e servizi, a prezzi assai più competitivi. Dunque: vigilanza, si’ ma anche curiosità e intelligenza nell’esplorare le tante potenzialità ancora tutte da scoprire della nostra Unione a 28.

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