A Bruxelles si discute ormai da mesi di un’eventuale Digital Tax, e si stanno analizzando problemi come il tax ruling, l’elusione delle multinazionali, i nuovi sistemi di tassazione delle imprese. Nessuna proposta condivisa, però, è stata ancora avanzata né dalla Commissione Europea, né da qualche Paese membro. Sembra che per ora i vari Governi stiano andando per conto loro. Da qualche settimana l’Italia sta cercando, forse, di sbloccare la situazione a livello europeo, portando avanti la proposta cui sta lavorando il Governo Renzi: una norma antiabusi per colpire le grandi multinazionali attive su internet che, secondo le stime, fatturano almeno 11 miliardi all’anno in Italia ma versano pochi milioni di euro di tasse.

Intanto va precisato che la Digital Tax non c’entra con la Web Tax di cui si è parlato a lungo nel 2013, ma che non ha mai visto la luce in quanto, per come era pensata, limitava molto le piccole e medie imprese nella loro attività commerciale verso l’estero. La Digital Tax, invece, scatterebbe nel momento in cui si individua una stabile organizzazione virtuale, ovvero se si supera una certa soglia di economia digitale (che dovrebbe essere di 5 milioni in almeno 6 mesi di attività continua).

Numerosi analisti, però, non sono d’accordo con l’impostazione messa a punto dal Governo italiano: la soluzione trovata convince poco dal punto di vista tecnico, ma anche della compatibilità con le norme comunitarie. I dubbi tecnici riguardano il fatto che la tassa prenderebbe di mira i ricavi, ma i ricavi non sono espressione della capacità contributiva di un’azienda. Ad esempio, se ci fosse un’aliquota al 25% sui ricavi, e un’impresa ha ricavi di cui solo la metà sono profitti, avrebbe di fatto una tassa al 50% sui profitti (cifra del tutto esagerata). Inoltre collocare questa nuova imposta nel panorama europeo sembra un’impresa difficile perché destinata a soccombere davanti ai trattati bilaterali contro le doppie imposizioni.

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