Nel 2013 sono state 2323 le proclamazioni di sciopero nei servizi pubblici essenziali, pari a 666 giornate di sciopero, cioè due scioperi al giorno: una media piuttosto elevata, in linea con il trend registrato negli ultimi anni e stabile rispetto alle 2330 proclamazioni del 2012. La proliferazione degli scioperi nel trasporto pubblico locale è dilagata in molte città italiane: la sola città di Roma è stata interessata, nel 2013, da ben 20 giornate di sciopero. Il quadro che emerge dalla Relazione sul 2013 illustrata a luglio scorso dal presidente della Commissione sul diritto di sciopero, Roberto Alesse, testimonia una fase di alta conflittualità determinata soprattutto dalla crisi.
Trasporti (aereo, marittimo, ferroviario e su gomma), igiene ambientale (raccolta e smaltimento dei rifiuti), sanità e giustizia sono i settori più bersagliati. Nei trasporti si contano ben 293 astensioni nel 2013 tra scioperi nazionali e locali. La forte crisi in cui si trova soprattutto il trasporto pubblico vede tra le sue cause, in primo luogo il fatto che molte Regioni hanno avvertito spesso la necessità di impegnare gli appositi fondi a loro assegnati per far fronte ad altre situazioni di emergenza, come quella rappresentata dal settore sanitario.
Alesse auspica una riflessione a tutto campo dei sindacati e delle istituzioni per trovare forme alternative e più efficaci del ricorso indiscriminato allo sciopero, a partire dalla valorizzazione delle procedure (in parte già esistenti) di conciliazione. E’ in fase di studio la possibilità di rivedere i regolamenti delle categorie per inserire negli accordi clausole per tentare la conciliazione dinanzi alla stessa Commissione di garanzia, in alternativa alle procedure di prevenzione e di raffreddamento già previste negli accordi, che però non vengono utilizzate al meglio per giungere a una composizione del conflitto, senza ricorrere allo sciopero. Resta l’importanza delle carte di servizio per regolare i rapporti tra le imprese e gli utenti. Alesse spinge nella direzione di un confronto più continuo e approfondito con le parti sociali coinvolte, al fine di risolvere e prevenire possibili situazioni conflittuali che finirebbero nel penalizzare lavoratori e utenti.
L’Italia è, con la Spagna e la Francia, uno dei pochi Paesi europei a riconoscere dignità di diritto costituzionale allo sciopero; si tratta di un importante dato di cultura democratica che, però, occorre valorizzare con una parallela cultura delle relazioni industriali. Bisogna evitare che lo strumento dello sciopero diventi una sorta di “rituale sindacale”, da invocare sempre, invece di favorire il dialogo sociale. L’effetto principale di questa tendenza, contenuta grazie al ruolo incisivo dell’Autorità di garanzia, è che lo sciopero stesso venga depotenziato e a pagarne le conseguenze siano solo i cittadini, che comunque subiscono ripetutamente la mancanza dei servizi.
E c’è un altro problema sollevato dal Presidente della Commissione sul diritto di sciopero: la grande frammentazione di sigle sindacali che indebolisce l’azione delle organizzazioni più responsabili, causando al tempo stesso una vera e propria lesione del principio della rappresentanza sindacale. Anche questo, purtroppo, è tra gli effetti della crisi: le rivendicazioni dei lavoratori si localizzano nelle singole realtà produttive, cioè in contesti in cui è più semplice una forma di “autotutela” sindacale. Un’altra tendenza negativa è quella all’abuso delle revoche, spesso tardive, degli scioperi proclamati: anche questo, secondo Alesse, si traduce in un danno a senso unico per i cittadini, che ricevono un’informazione incerta e confusa sui disagi che dovranno o meno affrontare. Non a caso, il legislatore aveva immaginato la revoca come una fattispecie quasi residuale, affinché lo sciopero potesse mantenere la sua forza di “extrema ratio”, in vista del raggiungimento degli accordi tra le parti. Il rischio concreto è che forme anomale ed improvvise di protesta nei settori più delicati (a partire dai trasporti) scavalchino l’esigenza della mediazione sindacale, ritenuta debole e inefficace, scardinando il principio stesso di legittimità su cui si fonda l’esercizio del diritto di sciopero.

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