Ettore Fortuna - Presidente Mineracqua

Quale è la fotografia del consumo delle acque minerali in Italia?
 In Italia, oramai da alcuni anni, il consumo di acqua minerale si è stabilizzato in circa 11 miliardi e 500 milioni di litri. Un ulteriore miliardo di litri che le nostre imprese imbottigliano è destinato all’export. I consumi sono in lieve controtendenza rispetto ai consumi del settore alimentare in generale, che sono da un paio d’anni in flessione a causa delle crisi economica.
Anche il nostro settore risente, ovviamente, della crisi economica ma i consumi riescono a tenere grazie ad una offerta diversificata anche nei prezzi. Il canale discount, infatti, vede significativi aumenti. Per contro, è il “valore” delle nostre vendite che viene eroso dalla crisi, anche per effetto della leva promozionale che ci viene sempre più sollecitata dalla Grande Distribuzione.

Quali sono i fattori che determinano la qualità dell’acqua che beviamo?
Sono principalmente due. Il primo è la ricchezza di sorgenti di acque minerali nel nostro Paese che  è in genere ricco di acqua: la disponibilità delle risorse idriche italiane, effettivamente utilizzabile, è stimata pari a 58 miliardi di metri cubi (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento Protezione Civile). Di queste, secondo la stessa fonte, il 72% derivabile da risorse superficiali (sorgenti, fiumi e laghi) ed il rimanente 28% da risorse sotterranee, pari a circa 16 miliardi di metri cubi/anno.
Se si considerano le sole risorse sotterranee, nell’ampio scenario che riguarda tutti gli usi consentiti (industriale, agricolo, zootecnico, civile, ecc.), le acque minerali, allo stato attuale, riguardano una percentuale a dir poco trascurabile pari allo  0,075% con 12 milioni di metri cubi/anno.
Ma la ricchezza di sorgenti, per nostra fortuna, non è disgiunta da una qualità mediamente molto elevata sia sotto il profilo della incontaminazione sia sotto quello delle caratteristiche. Da rocce dolomitiche, granitiche, calcaree e vulcaniche si formano acque minerali con caratteristiche diverse fra loro.
Il secondo fattore è rappresentato dall’elevato livello della nostra attività di controllo e monitoraggio delle fonti. E’ una attività che non si conosce, che non si vede, non è infatti “esposta sugli scaffali”  ma è fondamentale per preservare, sia il  livello di incontaminazione dall’attività antropica, sia il mantenimento delle caratteristiche originarie delle varie acque.

Acqua minerale e pubblicità: le pronunce di ingannevolezza dei messaggi pubblicitari da parte dell’Antitrust sono davvero tante in questo settore. Quali indicazioni ne trae?
Non sono poi così tante. In particolare, un paio di pronunce hanno riguardato messaggi pubblicitari in tema di sostenibilità i cui dati sono per così dire, “nuovi” e quindi perfettibili in un’ottica di massima trasparenza e correttezza delle informazioni per il consumatore.
L’Antitrust è intervenuta sulla comunicazione istituzionale fatta da Mineracqua, con cui si indicavano le differenze tra le acque minerali e le acque potabili. In tutti questi casi l’Antitrust ha, di fatto, ratificato le decisioni del Giurì della Pubblicità, cosa che se ha una sua logica, d’altro canto può essere oggetto di rilievi proprio per la natura stessa dell’Antitrust che è una Authority pubblica.
Ci rendiamo conto che l’Antitrust è sovracaricata di lavoro e che quindi certe istruttorie non possono avere gli opportuni approfondimenti, rispetto al Giurì, che ha un approccio differente la cui velocità di giudizio può andare a discapito dell’accertamento di merito, nel nostro caso spesso tecnico e, quindi, bisognoso di una consulenza tecnica d’ufficio (non disposta per la pubblicità di Mineracqua).

 

Renato Drusiani - Advisor  servizio idrico Federutility - per CONFSERVIZI

Salubre o contaminata? Qual è lo stato di salute dell’acqua che beviamo?
Secondo la direttiva UE 98/83/CE "le acque destinate al consumo umano devono essere salubri e pulite. Non devono contenere microrganismi e parassiti, né altre sostanze, in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana”, l’acqua potabile in Italia rispetta queste caratteristiche?
In generale l’acqua potabile del nostro territorio rispetta i parametri della Direttiva comunitaria fatta eccezione di alcune situazioni particolari nelle quali si registrano valori al di sopra del limite consentito ma anche in quel caso non vi sono ancora procedure d’infrazione a carico dell’Italia, a differenza di quanto è accaduto con i sistemi di depurazione per i quali il nostro Paese è stato già sanzionato. Nelle zone in cui vi è un superamento di detti limiti, ad esempio una concentrazione di arsenico maggiore di quella consentita, il ministero della Salute ha autorizzato deroghe in merito al contenuto di arsenico nell'acqua: livello massimo 20 microgrammi per litro contro i 10 previsti.

Perché si continua a derogare?
Va innanzitutto premesso che l’erogazione di acqua "in deroga" è prevista dalle norme europee ed italiane; risulta evidente che in ogni caso deve essere un esercizio provvisorio sotto il controllo delle autorità sanitarie e da concludersi entro tempi prestabiliti. Non stiamo quindi parlando di acqua non potabile. Per quanto riguarda i rischi alla salute connessi al consumo di acqua in cui è presente arsenico alle concentrazione indicate, questi sono riscontrabili solo dopo un consumo protratto a lungo negli anni. Il problema è che gli impianti di depurazione utili a risolvere il problema in questi territori, non sono molto diffusi e sono stati programmati solo quando la normativa del '98 ha abbassato i valori di limite adottati in precedenza. Da un punto di vista ingegneristico si tratta di impianti che richiedono tempi e risorse finanziarie per la loro realizzazione.

Quanto possono essere efficaci i sistemi di depurazione domestica in quelle zone dove esiste il problema dell’arsenico?
I sistemi di depurazione domestica sono considerati sistemi di affinamento: possono essere utili per gassare l’acqua o ridurne la durezza (operazione questa utile soprattutto per facilitare il lavaggio indumenti), oppure togliere laddove esistesse il sapore di cloro ma non sono veri e propri impianti di depurazione. Il problema della depurazione dell’acqua contaminata non può essere demandato a questo tipo di apparecchi ma deve essere risolto all’origine dal distributore.

Qualità, quantità adeguata e tariffe eque e trasparenti sono le principali esigenze dei consumatori: la gestione pubblica dell'acqua è in grado di soddisfare queste richieste?
Il problema, come ampiamente dimostrato, non è connesso alla natura pubblica o privata di chi gestisce il servizio idrico, ma è necessario che chi deve svolgere questa funzione sappia farlo. E non è neanche detto che la gestione pubblica assicuri tariffe più basse: le tariffe più alte sono pagate nel Nord Europa (Danimarca, in particolare) dove i gestori sono per lo più pubblici e svolgono (in virtù anche delle tariffe) un servizio ritenuto impeccabile. Le tariffe dipendono soprattutto dai costi di gestione che sono in genere più bassi  in zone dotate di un buon patrimonio impiantistico e dove esistono grandi concentrazioni urbane. Ad esempio con riferimento al nostro Paese, sono proprio città come Milano e Roma che presentano tariffe fra le più basse. Nel primo caso, il gestore è al 100% pubblico, nel secondo il capitale è misto pubblico-privato. In sostanza la questione attiene essenzialmente al modo in cui viene gestita ‘la cosa pubblica’, dalla natura del territorio e dall’ampiezza delle zone da raggiungere. L'allegato grafico delle tariffe applicate in Italia, redatto a suo tempo dal CONVIRI - Comitato di Vigilanza delle Risorse Idriche (le cui funzioni sono state recentemente trasferite all'Autorità dell'Energia Elettrica e del Gas), evidenzia più di ogni altra considerazione questa sostanziale "indifferenza" nei confronti dell'assetto proprietario della gestione.

 

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