Le aziende che si macchiano di reati ambientali dovranno pagare risarcimenti dal 3 al 5 per cento del fatturato e i responsabili rischieranno dai 5 ai 10 anni di reclusione. Inclusi nei crimini contro l'ambiente traffico di legname, riciclaggio di componenti inquinanti di navi e violazioni gravi della legislazione sulle sostanze chimiche.

Il Parlamento europeo ha dato l’endorsement finale al giro di vite contro chi si rende colpevoli di reati ambientali. Non solo individui, ma aziende, che a seconda del crimine potranno ora essere costrette a pagare risarcimenti pari al 3 o al 5 per cento del loro fatturato.

Mancava solo l’ultimo step per il via libera alla nuova direttiva – che sostituisce quella ormai obsoleta del 2008 – per stabilire nuovi reati e inasprire le sanzioni per i danni all’ambiente. Oggi (27 febbraio), con 499 voti a favore, 100 contrari e 23 astenuti, l’emiciclo di Strasburgo ha messo nero su bianco le nuove norme comunitarie.

Raddoppiata la lista dei reati ambientali previsti dal diritto penale, da 9 a 18: a rischiare sanzioni severe anche chi è coinvolto in traffico di legname, riciclaggio illegale di componenti inquinanti di navi e in violazioni gravi della legislazione in materia di sostanze chimiche. In parallelo i cosiddetti “reati qualificati”, vale a dire quelli che portano alla distruzione di un ecosistema e sono quindi paragonabili all’ecocidio – ad esempio gli incendi boschivi su vasta scala o l’inquinamento diffuso di aria, acqua e suolo -.

Il relatore per il Parlamento europeo, il popolare olandese Antonius Manders, ha fatto l’esempio degli Pfas, sostanze chimiche inquinanti di cui si dibatte da anni anche in Veneto. “Nei Paesi Bassi – ha spiegato Manders – le aziende hanno dei permessi per inquinare il suolo con gli Pfas, ma vent’anni dopo vediamo che causano morti e problemi alla salute. Con questa nuova legge, la decisione di un giudice potrà vietarli”.

Secondo le stime dell’Ue, i reati ambientali costituiscono un business vero e proprio, e assai redditizio, con un fatturato annuo di oltre 200 miliardi di euro e gravi conseguenze sulla salute umana e sull’ambiente. Per riparare i danni, ha sottolineato ancora il relatore, l’Ue “spende ogni anno l’equivalente del prodotto interno lordo del Portogallo”. Spesso a sporcarsi le mani non sono singoli individui, ma entità giuridiche, imprese che mascherano le proprie esternalità inquinanti e si affidano a organizzazioni criminali per rilasciarle nell’ambiente. “Qualsiasi dirigente d’impresa responsabile di provocare inquinamento potrà essere chiamato a rispondere delle sue azioni, al pari dell’impresa”, ha esultato Manders.

Con la nuova direttiva i reati commessi da persone fisiche e rappresentanti d’impresa saranno punibili con la reclusione: fino a 8 anni per i reati qualificati, che possono diventare 10 se causano la morte di una persona. E per tutti gli altri 5 anni. Chi inquina paga, e i cocci sono suoi: tutti i trasgressori saranno tenuti a risarcire il danno causato e ripristinare l’ambiente danneggiato, oltre a possibili sanzioni pecuniarie. Per le imprese si parla del 3 o 5 per cento del fatturato annuo mondiale a seconda dell’entità del reato. Ma le aziende più grandi potranno in alternativa pagare un minimo di 24 o 40 milioni di euro.

Come sottolineato dal democratico Franco Roberti, negoziatore del testo finale per i Socialisti e Democratici (S&d), Bruxelles sta creando inoltre “nuovi potenti strumenti giuridici per coloro che difendono l’ambiente”. Roberti ha rivendicato la pressione esercitata dagli S&d per garantire la protezione degli informatori (whistleblower) che denunciano reati ambientali. E per rafforzare l’accesso alla giustizia per chiunque sia vittima di tali crimini.

Una volta pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Ue, gli Stati membri avranno due anni per recepire le norme nel diritto nazionale.

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