La Corte Costituzionale ha giudicato illegittima la prescrizione anticipata della lira decisa dal Governo Monti nel 2011. Con sentenza 216/2015 la Corte ha stabilito infatti che viola l’articolo 3 della Costituzione il decreto legge con cui si stabilì con decorrenza immediata la prescrizione anticipata delle lire in circolazione in favore delle casse dello Stato. La data di scadenza rimane dunque il 28 febbraio 2012.
La questione di cui è stata investita la Corte riguarda l’art. 26 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 nel quale si stabiliva che “le banconote, i biglietti e le monete in lire ancora in circolazione si prescrivono a favore dell’Erario con decorrenza immediata ed il relativo controvalore è versato all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnato al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato”. La legge stabiliva che il diritto di convertire le lire in euro potesse essere esercitato in un periodo decennale e fino al 28 febbraio 2012. In questo quadro, spiega la Corte, si è inserito l’art. 26 del dl 201/2011 che “al dichiarato fine di ridurre il debito pubblico” e in deroga alle norme “ha disposto la prescrizione anticipata, con effetto immediato, delle lire ancora in circolazione, e ha stabilito, altresì, che il relativo controvalore fosse versato all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnato al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato”.
La Corte Costituzionale argomenta che “il valore del legittimo affidamento, il quale trova copertura costituzionale nell’art. 3 Cost., non esclude che il legislatore possa assumere disposizioni che modifichino in senso sfavorevole agli interessati la disciplina di rapporti giuridici «anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti», ma esige che ciò avvenga alla condizione «che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto»”. Per la Consulta il fatto che all’entrata in vigore della legge fosse trascorsi nove anni e nove mesi dalla cessazione del corso legale della lira “non è idoneo a giustificare il sacrificio della posizione di coloro che, confidando nella perdurante pendenza del termine originariamente fissato dalla legge, non avevano ancora esercitato il diritto di conversione in euro delle banconote in lire possedute”.
Scrive inoltre la Corte Costituzionale: “Nemmeno la sopravvenienza dell’interesse dello Stato alla riduzione del debito pubblico, alla cui tutela è diretto l’intervento legislativo nell’ambito del quale si colloca anche la norma denunciata, può costituire adeguata giustificazione di un intervento così radicale in danno ai possessori della vecchia valuta, ai quali era stato concesso un termine di ragionevole durata per convertirla nella nuova. Se l’obiettivo di ridurre il debito può giustificare scelte anche assai onerose e, sempre nei limiti della ragionevolezza e della proporzionalità, la compressione di situazioni giuridiche rispetto alle quali opera un legittimo affidamento, esso non può essere perseguito senza una equilibrata valutazione comparativa degli interessi in gioco e, in particolare, non può essere raggiunto trascurando completamente gli interessi dei privati, con i quali va invece ragionevolmente contemperato. Nel caso in esame non risulta operato alcun bilanciamento fra l’interesse pubblico perseguito dal legislatore e il grave sacrificio imposto ai possessori di banconote in lire, dal momento che l’incisione con effetto immediato delle posizioni consolidate di questi ultimi appare radicale e irreversibile, nel senso che la disposizione non lascia alcun termine residuo, fosse anche minimo, per la conversione”.