Ferruccio Dardanello è il nuovo presidente di Unioncamere per il triennio 2009-2012. Dardanello, che è presidente della Camera di commercio di Cuneo e dell'Unioncamere Piemonte, è presidente dell'Unione del Commercio della provincia di Cuneo, nonché membro di Giunta e consigliere di Confcommercio Nazionale.

"Ringrazio tutti i colleghi che hanno avuto fiducia in me, concedendomi il loro supporto - ha detto il neo presidente Ferruccio Dardanello - Tutti insieme continueremo ad impegnarci per lo sviluppo delle nostre imprese ed il rafforzamento del Sistema Paese. Un ringraziamento particolare lo rivolgo al mio predecessore, Andrea Mondello, al quale va la mia stima ed amicizia".

 

Nel 2008 le rapine sono diminuite del 27,3% ed è calato del 24% l'importo del denaro rubato. Il bottino medio è di 20 mila euro. Sono i dati del centro di ricerca Abi sulla sicurezza, che evidenzia come il bottino si sia fatto sempre più leggero. 

Le rapine in banca diminuiscono e si riduce anche il bottino complessivo messo a segno dai rapinatori, che passa dai 57,2 milioni di euro del 2007 ai 43,4 milioni di euro nel 2008, con una flessione del 24%. È quanto evidenzia l'indagine condotta dall'Ossif, il Centro di ricerca dell'Abi in materia di sicurezza: nel 2008 le rapine allo sportello sono state 2.160, con una flessione del 27,3% rispetto ai 2.972 "colpi" dell'anno precedente. Il bottino medio per rapina si aggira intorno ai 20 mila euro. Diminuisce anche l'indice di rischio, ovvero il numero di rapine ogni 100 sportelli, in flessione del 29,3% (da 9,1 a 6,4), e raggiunge il valore più basso dal 1998.

Il modus operandi dei rapinatori non è cambiato: in genere sono in due (84% dei casi), a volto coperto (60%), agiscono in pochi minuti usando armi da taglio ma non fanno il "colpo grosso". Secondo l'indagine dell'Ossif, le rapine sono effettuate soprattutto di venerdì (23%) in tarda mattinata: fra le 11.00 e le 13.30 avvengono il 71% degli episodi. Ma non sono queste le "coordinate" delle rapine più ingenti, che invece si sono verificate o nel tardo pomeriggio dopo la chiusura della banca (oltre 60 mila euro) o all'apertura della filiale (bottino da oltre 54 mila euro). Diminuisce l'uso delle armi da fuoco, con un valore inferiore al 15% delle rapine: si agisce infatti soprattutto con armi da taglio (61%) se non con le sole minacce (18%).

 

E' stato approvato oggi dal Consiglio dei Ministri Ue il nuovo regolamento sul roaming in Europa: dal 1° luglio telefonare o ricevere chiamate quando si è all'estero costerà di meno; per inviare un SMS non si spenderà più di 0,11 euro e per scaricare un megabyte da Internet non si pagherà più di un euro.
 
Oggi, infatti, è giunto alla sua approvazione formale da parte del Consiglio dei 27 Stati membri, il regolamento sulle nuove regole del roaming proposto a settembre scorso dalla Commissione Ue ed approvato ad aprile dall'Europarlamento. Telefonare, ricevere chiamate, mandare messaggi di testo e navigare in Internet in un altro paese europeo costerà, dal 1° luglio, in media il 60% in meno.

In particolare gli utenti europei non dovranno pagare più di 11 centesimi (Iva esclusa) per inviare SMS da un paese Ue diverso dal proprio; la media attualmente è di 28 centesimi; per megabyte scaricato in rete non si pagherà più di un euro, contro l'attuale costo di 1,68 euro (in Irlanda si arriva a pagare anche 6,82 euro). I consumatori europei potranno anche scegliere di attivare un meccanismo che ferma il servizio quando la fattura raggiunge i 50 euro, oppure oltre, su richiesta dell'utente.

Prosegue, inoltre, la riduzione delle tariffe delle telefonate in roaming: il 1° luglio l'eurotariffa per le chiamate effettuate da un altro paese passa da 46 centesimi a 43; quella per le telefonate ricevute mentre si è all'estero passa da 22 centesimi a 19. E per il 2010 e il 2011 sono previsti ulteriori cali che porteranno l'eurotariffa rispettivamente a 35 e 11 centesimi.

Infine, viene introdotto il principio della fatturazione al secondo, che sostituisce la fatturazione al minuto e che scatta dopo i primi 30 secondi per le telefonate effettuate in roaming e dal primo secondo per quelle ricevute. Si prevede che questo produca una riduzione del 24% sulle fatture dei cellulari.

La fiducia dei consumatori a livello globale scende a livelli minimi negli ultimi sei mesi. L'Europa si conferma l'area geografica più pessimista, indicazione di una maggiore lentezza della ripresa economica. E per la prima volta, la preoccupazione principale dei consumatori a livello internazionale diventa la certezza del posto di lavoro. Sono i principali risultati del "Nielsen Global Consumer Confidence Index", l'ultima indagine Nielsen sulla fiducia dei consumatori a livello globale, svolta ad aprile in 50 paesi.

Negli ultimi sei mesi, la fiducia dei consumatori a livello globale è precipitata ad un minimo record, perdendo sette punti, da 84 a 77. Svalutazione monetaria, indebolimento dei mercati di esportazione e caduta dei prezzi delle merci hanno fatto sì che il calo maggiore di fiducia si sia registrato nei mercati emergenti di Russia, Emirati Arabi Uniti e Brasile.

"Nel corso dell'ultimo semestre, i consumatori a livello globale sono stati flagellati e martoriati da una continua pioggia di brutte notizie - ha affermato James Russo, Vice President, Global Consumer Insights - Comunicazioni quotidiane di tagli di posti di lavoro e di calo dei profitti aziendali, fallimenti e pignoramenti, riduzione delle previsioni di PIL e di produzione hanno contribuito a diminuire la fiducia e il potere d'acquisto dei consumatori, portandoli ai livelli minimi dal dopoguerra". L'assenza di ulteriori flessioni nella fiducia dei consumatori nel Nord America potrebbe però rappresentare un cauto segnale di ripresa, mentre il fatto che l'Europa sia l'area geografica più pessimista indica che la ripresa avverrà più lentamente.

Secondo l'indagine Nielsen, il 77% dei consumatori online ritiene che la propria economia sia in recessione, un dato superiore rispetto al 63% di sei mesi fa. "In generale, i consumatori hanno attraversato un periodo difficile alla fine del 2008 e si sono preparati ad affrontare un periodo altrettanto arduo nella prima metà del 2009, cosa che sta puntualmente accadendo - ha detto Russo - L'unica eccezione a livello globale è la Cina, dove il 65% dei consumatori su internet non ritiene che la propria economia sia in recessione".

Ad aumentare sono soprattutto la paura della disoccupazione e l'incertezza del lavoro, indicata come principale preoccupazione tra i consumatori su internet in 31 Paesi su 50. La preoccupazione globale relativa alla certezza del lavoro è salita al 22% rispetto al 9% rilevato in occasione dell'ultima indagine. I consumatori che hanno indicato il lavoro quale preoccupazione principale nella vita quotidiana sono in Cina (29%), Hong Kong (33%), India (29%), Singapore (32%), Vietnam (36%), Italia (24%), Spagna (34%), Ungheria (31%) e Messico (29%). L'incertezza del lavoro è una preoccupazione forte per il prossimo futuro: un consumatore su cinque (26%) ha infatti espresso prospettive di lavoro negative per i prossimi 12 mesi, una percentuale maggiore rispetto al 17% del mese di ottobre 2008.

 

I mancati investimenti sulla rete elettrica in Italia hanno provocato danni ai consumatori, a causa delle numerose strozzature esistenti. Fra le maggiori criticità sulla rete di trasmissione elettrica risultano i mancati investimenti sulla connessione fra la Calabria e la Sicilia, tra la Campania e la Puglia, oltre ai collegamenti tra le regioni: Piemonte-Lombardia, Emilia Romagna-Toscana, e tra Slovenia e Friuli Venezia Giulia.

E' quanto emerge da una ricerca condotta dall'Istituto Ref (Ricerche e consulenza per l'economia e la finanza) su incarico di Consumers' Forum. Nella ricerca viene stimato che i mancati investimenti e quindi la strozzatura tra la Calabria e la Sicilia comporta da sola un costo annuo a carico degli utenti di circa 320 milioni di euro.

Queste strozzature, definite in gergo, "congestione", comportano maggiori perdite di rete, difficoltà a utilizzare al meglio l'energia prodotta dalle nuove centrali e quindi, di fatto, una minore concorrenza sul mercato. Investimenti che contribuirebbero ad alleviare il peso della bolletta elettrica che grava sui consumatori.

La ricerca è stata presentata oggi al workshop "L'efficienza della rete di trasmissione dell'energia elettrica" organizzata da Consumers' Forum insieme a Adiconsum, Acu, Lega Consumatori, Casa del Consumatore, Unione nazionale Consumatori. Le Associazioni dei consumatori hanno sollecitato il Governo, Terna e l'Autorità per l'energia, ad intraprendere ciascuno le azioni di propria competenza al fine di realizzare senza altro indugio tutti gli investimenti necessari. Terna è la nuova società che con la liberalizzazione gestisce la rete elettrica di trasmissione a livello nazionale.

 

Secondo le rilevazioni Experian-FootFall ad aprile l'affluenza ai centri commerciali è ancora in calo dell'1,1% rispetto al 2008 ma "emergono chiari segnali di ripresa". Risale infatti l'affluenza su base mensile.

Negli ultimi mesi la tendenza generale dei consumi è stata di un calo costante, che ha coinvolto in misura maggiore i piccoli negozi ma non ha risparmiato i centri commerciali e gli ipermercati, anche se con flessioni più contenute. Ora una nuova ricerca evidenzia segnali di ripresa: l'affluenza ai centri commerciali è ancora in calo (meno 1,1%) ad aprile 2009 rispetto all'anno precedente, ma si vedono segnali di ripresa per i quali "sembra essere giunta al termine l'emorragia di visite che aveva colpito i centri commerciali in inverno".

Secondo Experian, dunque, emergono segnali di ripresa o comunque "di stabilizzazione di una dinamica che si era fatta allarmante": dal meno 3,3% di affluenza di febbraio 2009 (rispetto al 2008) si è infatti passati a meno 2,8% di marzo e a meno 1,1% di aprile. Meglio vanno i dati a livello mensile, per i quali, dopo il meno 16% di febbraio, si registrano contenuti aumenti: più 0,9% a marzo e più 1,6% ad aprile. Il dato di inizio anno è però ancora negativo: nel primo quadrimestre 2009 si registra un meno 1,9% di affluenza rispetto al 2008.

 

Prodotti cosmetici nei mirino dei Nas che in una serie di operazioni sul territorio nazionale hanno sequestrato migliaia di confezioni di cosmetici, shampoo, balsamo, talco, prodotti per la ricostruzione delle unghie per un valore complessivo di circa 850 mila euro. Le confezioni ritirate dal mercato - circa 175 mila - venivano vendute da discount, supermercati ed esercizi commerciali ma contenevano sostanze vietate dalla legge perché in grado di provocare dermatiti e irritazioni.

In particolare, in alcuni prodotti era contenuto il conservante methyildibromo glutaronitrile, vietato in Europa perché può causare irritazioni della pelle: circa 96 mila le confezioni sequestrate per la presenza di questa sostanza. In oltre 2400 confezioni per la ricostruzione delle unghie era invece contenuto dibutyl phthalate, un altro composto vietato. In 800 confezioni di talco sequestrate dal Nas di Bologna è stato addirittura rinvenuto l'arsenico.

 

"Ricerca e innovazione sono la fonte principale per la crescita della produttività e dell'efficienza economica del sistema Paese. In quest'ottica, è necessario sviluppare sinergie di valore tra industria bancaria e attori dello sviluppo del Paese. Allo stesso tempo è fondamentale rafforzare ulteriormente una strategia comune europea per il recupero dei ritardi strutturali e dei livelli di competitività internazionale". Lo ha dichiarato il Presidente dell'Abi (Associazione bancaria italiana), Corrado Faissola, intervenendo a Roma al convegno "Finanziare la ricerca, lo sviluppo e l'innovazione", un evento che si inserisce nell'ambito della settimana europea per le Pmi.

"L'aumento degli investimenti per ricerca, sviluppo e innovazione - ha sottolineato Faissola - può essere una delle migliori soluzioni per non restare indietro e cogliere le opportunità che verranno dal superamento della crisi". Ciò significa investire anche nella salute, nelle energie rinnovabili, nell'eco innovazione, nell'educazione, nell'università e conoscenza.

Per quanto riguarda le banche italiane, è stata evidenziata la particolare attenzione verso le imprese innovative, definendo e utilizzando strumenti ad hoc con caratteristiche di snellezza e semplificazione che tendono a facilitare il rapporto della stessa impresa con il mondo del credito:

  • il Fondo di garanzia per le Pmi che dal 2000 ad oggi ha accolto 62.859 istanze, concedendo garanzie per 5,85 miliardi di euro a fronte di operazioni di finanziamento per 11,96 miliardi di euro;
  • la collaborazione tra Banca Europea degli investimenti e sistema bancario: la Bei mette a disposizione delle banche le linee di credito finalizzate a consentire a queste ultime di finanziare le imprese a condizioni più favorevoli;
  • il Progetto speciale "Banche per Lisbona", basato sulla configurazione di una piattaforma che contenga una serie di servizi per l'industria bancaria, prevalentemente di natura informativa/formativa, per una maggiore conoscenza delle opportunità messe a disposizione dall'Unione Europea nel comparto degli aiuti alle imprese.

Le associazioni del CNCU chiedono ai presidenti dei Gruppi parlamentari, alla Camera e al Senato un'audizione sulla class action. I rappresentanti delle associazioni "contestano il testo di recente approvato dal Senato in tema di class action giudicandolo inapplicabile, dannoso per i consumatori, avulso dal Codice del Consumo e contrario alle indicazioni provenienti dall'Unione Europea in merito alla prossima introduzione dell'azione collettiva risarcitoria transfrontaliera".

È quanto si legge nella lettera inviata dal responsabile della Direzione generale per il mercato, la concorrenza, il consumatore, la vigilanza e la normativa tecnica Gianfrancesco Vecchio. Le associazioni, si legge, "ritenendo che l'emendamento del Governo in materia di class action abbia scavalcato sia il dibattito parlamentare che le unitarie proposte delle associazioni dei consumatori, non consultate su un aspetto così delicato, richiedono una formale audizione per illustrare le ragioni della ferma opposizione al testo già approvato dal Senato".

Iniziative congiunte per monitorare la qualità dei servizi, campagne di educazione al consumo e più informazioni ai consumatori sono alcune delle iniziative al via dopo la firma di un nuovo protocollo di intesa fra l'Autorità per l'energia e il CNCU.

Alla luce del recente processo di liberalizzazione, l'accordo promuove una serie di iniziative a tutela del cittadino consumatore. "La libertà di scegliere il proprio fornitore di energia è uno diritto primario del consumatore, presupposto indispensabile per la creazione di un vero mercato - ha detto Alessandro Ortis, presidente dell'Aeeg - e, per questo, è indispensabile far sì che le scelta possa essere davvero consapevole e libera, con l'obiettivo comune di dare al cittadino un ruolo sempre più attivo e centrale. In quest'ottica è essenziale l'apporto delle Associazioni dei consumatori con le quali, ormai da anni, abbiamo avviato una proficua collaborazione, a tutela e promozione dei diritti riconosciuti".

L'accordo prevede in particolare campagne di educazione al consumo, seminari di aggiornamento per le Associazioni dei consumatori, iniziative per migliorare la diffusione delle informazioni utili ai consumatori di fronte al nuovo assetto dei mercati energetici e l'avvio di un monitoraggio costante sulla qualità dei servizi erogati dalle aziende di energia elettrica e gas. Come dati di analisi saranno presi in considerazione anche i reclami che arrivano alle associazioni dei consumatori.

 

Al via la procedura di conciliazione delle controversie per oltre 30 milioni di clienti Enel dell'elettricità e del gas, sia del mercato libero che del servizio di maggior tutela. Grazie a un accordo fra l'azienda e le associazioni dei Consumatori del CNCU, e dopo una fase sperimentale avviata in Piemonte e una formazione che ha coinvolto 560 operatori e più di 150 conciliatori, da oggi i clienti Enel possono rivolgersi alla procedura di conciliazione paritetica su base volontaria delle controversie, che permetterà di azzerare i costi attraverso una procedura online.

Dopo l'invio di un reclamo scritto, se non ritengono soddisfacente la risposta o non hanno ricevuto esito entro 30 giorni dall'invio, i clienti Enel potranno dunque rivolgersi alle associazioni dei Consumatori firmatarie dell'accordo (informazioni sul sito dedicato dell'Enel e sui sito delle associazioni) e attivare la procedura di conciliazione.

L'accordo si applica a tutti i clienti di Enel Servizio Elettrico e di Enel Energia, con un contratto per uso domestico o condominiale con potenza impegnata fino a 15 kW e per i clienti del gas con un consumo annuo fino a 50 mila metri cubi.

L'ampliamento dell'accordo a tutti i clienti dell'elettricità e del gas, auspicato da sempre anche dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas, si articola - spiega Enel in una nota stampa - in un regolamento che fissa le linee-guida della procedura che si svolgerà interamente online e riguarderà quasi tutti i tipi di controversie.

Oltre a quelle già stabilite con il precedente regolamento (ricostruzione dei consumi a seguito del malfunzionamento del contatore; fatture di importi anomali rispetto alla media di quelli fatturati al cliente nei due anni precedenti; riduzione di potenza e sospensione della potenza per morosità), oggi si possono regolare anche le controversie legate ai consumi presunti in acconto elevati ed anomali rispetto alla media dei consumi; quelle derivanti dalla rateizzazione per bollette con consumi effettivi elevati, anche se non di conguaglio, e dalla rateizzazione e dai rimborsi per bollette di conguaglio; quelle nate da rifatturazioni e doppia fatturazione.

Per l'Antitrust è necessario cambiare il criterio di remunerazione della componente distributiva dei farmaci erogati a carico del Servizio Sanitario Nazionale prevedendo, ad esempio, "di riconoscere al farmacista una retribuzione a forfait per ogni servizio di vendita di ciascun medicinale, indipendentemente dal suo prezzo", che sgancerebbe la remunerazione dal valore del farmaco (attualmente sono previste quote di spettanza in percentuali fissate sul prezzo di vendita netto dei medicinali) e "renderebbe neutrale la scelta circa le confezioni da consegnare". Il tutto avrebbe un impatto positivo sulla diffusione dei medicinali equivalenti.

È quanto scrive l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che ha inviato una segnalazione ai presidenti di Camera e Senato, al presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali.

L'Antitrust segnala i possibili effetti distorsivi della concorrenza del sistema di remunerazione dei farmaci erogati a carico del SSN e sottolinea nella sua segnalazione "la forte asimmetria informativa esistente fra il consumatore e il farmacista", che consente a quest'ultimo di orientare la scelta dei farmaci anche in tema di medicinali equivalenti e laddove "la presenza, per il farmacista, di incentivi economici di vendita distorti a favore di alcune categorie di farmaci è in grado, dunque, di produrre effetti di un qualche rilievo sulla composizione delle vendite".

L'Autorità, si legge nella segnalazione, "ritiene necessaria l'adozione di un diverso criterio di remunerazione della componente distributiva, con riferimento alla distribuzione dei farmaci erogati dal SSN, in grado di porre il distributore finale in una condizione di relativa neutralità rispetto alla scelta del farmaco da consigliare al paziente, se non addirittura di rendere maggiormente conveniente la vendita del farmaco più economico". Da qui la proposta di una sorta di "fee for service", un sistema di retribuzione a forfait usato da altri paesi europei nei quali, sottolinea l'Antitrust, la diffusione dei farmaci equivalenti è superiore rispetto all'Italia.

Potere decisionale a sovranità limitata perché influenzato da vincoli di natura finanziaria e politica, con un rapporto molto stretto con sfera politica: è quanto evidenzia un'indagine su 51 direttori generali di Asl e aziende ospedaliere realizzata dal Censis in collaborazione con la Fiaso (Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere). La ricerca ha permesso di tracciare un profilo dei direttori generali e del loro punto di vista sul Sistema sanitario in Italia.

Uno dei dati più rilevanti è il condizionamento della politica: oltre il 63% dei direttori generali intervistati definisce molto o abbastanza intensi i rapporti con i sovraordinati della sfera politica, con un fenomeno particolarmente accentuato al Sud Italia dove il rapporto con la politica si presenta totalizzante, mentre al Nord e al Centro Italia a definire tale rapporto molto o abbastanza intenso sono rispettivamente il 51,5% e il 44% degli intervistati.

Qual è l'identikit dei direttori generali? In tema di formazione, il 38,5% dei direttori generali di Asl e aziende ospedaliere ha una laurea in ambito medico e circa un quarto ha una laurea in giurisprudenza, quota che sale al 40% al Sud-Isole. Fra le esperienze professionali precedenti, il 61% indica di aver operato in ambito medico-sanitario, il 23,5% in ambito economico e poco meno del 16% in quello politico - quest'ultima percentuale sale però al 44% nel Sud insieme a una quota analoga che ha lavorato nel settore economico.

Il legame con la politica, ma anche la convinzione di operare sotto tutela, è maggiore fra i direttori generali che operano nelle Regioni con Piani di Rientro, per le quali cambia in parte anche l'identikit formativo: è più forte la presenza di direttori generali senza formazione universitaria di tipo medico-sanitaria o esperienza professionale pregressa in ambito medico-sanitario.

L'indagine evidenzia anche quali sono, secondo i direttori generali intervistati, i problemi più generali della sanità: ai primi posti ci sono la ridotta strutturazione della medicina del territorio e le poche risorse rispetto ai fabbisogni reali (70% entrambe), la poca attenzione alla cultura e alla pratica manageriale (36%) e l'eccesso di ospedali rispetto ai bisogni assistenziali attuali (34%). Le proposte per migliorare l'offerta sanitaria indicano l'attivazione di un confronto delle performance dei provider e la costituzione di un sistema organico per la diffusione delle best practices. Quasi l'81% degli intervistati è favorevole alla valorizzazione del privato sottoposto a controlli più rigorosi, mentre una percentuale più ridotta (meno del 20% ma con punte del 28,6% al Centro Italia) vuole un'offerta interamente pubblica.

 

Sono circa 600 mila i lavoratori domestici in Italia, in gran parte donne straniere provenienti da Romania, Ucraina e Filippine. Un dato che si rivela superiore secondo le stime che comprendono colf e assistenti irregolari, che arrivano a calcolarne quasi il doppio. Per le immigrate è il lavoro che permette di mantenere la famiglia o costruire una casa; per le italiane - che in tempi di crisi sembrano in parte ritornare al settore domestico - è invece un modo per arrotondare il bilancio familiare.

È la fotografia del lavoro domestico scattata dalle Acli Colf in occasione della XVII Assemblea nazionale "Per un nuovo welfare della cura oltre il fai da te" in corso da oggi a Roma. In gran parte si tratta di lavoratrici straniere (solo il 22,3% è di nazionalità italiana) e soprattutto di donne, che rappresentano l'87% fra i lavoratori stranieri e il 96% fra gli italiani.

Fra le immigrate, il 20% proviene dalla Romania, il 12,7% dall'Ucraina, il 9% circa dalle Filippine e il 6% dalla Moldavia; seguono Perù, Ecuador, Polonia e Sri Lanka, con percentuali che vanno dal 3,6 al 2,8% e rappresentanze minori di numerosi altri Paesi, europei, asiatici, africani e sudamericani.

"Queste donne - commentano le Colf delle Acli - rappresentano oggi l'unica speranza delle famiglie italiane per la cura dei bambini e l'assistenza di anziani. Infatti è noto che il nostro welfare è largamente carente di adeguati servizi per l'infanzia, per le persone anziane o per i non autosufficienti". In periodo di crisi economica sono però numerose le donne italiane che tornano al settore domestico. Secondo le Acli Colf, "per le italiane il lavoro domestico ad ore rappresenta un'occasione per arrotondare il bilancio familiare e per conciliare l'occupazione extradomestica, seppur svolta in un'altra casa, con le proprie esigenze casalinghe. Per le immigrate, la cui famiglia è rimasta in patria, è il modo per mantenere i figli, il marito o per costruire la casa".

Un fenomeno legato al lavoro nel settore domestico da parte delle immigrate è la presenza forte di famiglie divise, che sono più del 60%: solo il 38% delle colf straniere ha i familiari più stretti (figli o coniuge) che vivono tutti in Italia. Il 57% delle lavoratrici vive lontano dai propri figli, che sono affidati in patria alle cure dell'altro coniuge (41%) o degli altri parenti (41%).

Diffuso è il lavoro sommerso: il 57% delle colf straniere dichiara di lavorare completamente o in parte senza contratto. Si tratta di un dato, evidenziano le Acli, che deriva dalla somma del numero di coloro che non possono avere un contratto perché residenti in Italia irregolarmente (24%) al numero di coloro (33%) che pur possedendo il permesso o la carta di soggiorno, svolgono almeno un lavoro in nero. Se si considerano i soli collaboratori regolari, oltre la metà (55%) denuncia irregolarità nei versamenti previdenziali perché o non vengono versati contributi (24%) oppure vengono versati solo parzialmente (31%).

L'Assemblea rappresenta l'occasione per le Acli Colf di proporre una "rivoluzione copernicana" con un pacchetto di proposte che intende riorganizzare il lavoro domestico restituendo risorse alle famiglie e favorendo l'emersione del lavoro nero.

Fra le proposte, c'è quella di dare alle famiglie la possibilità di detrarre l'intero costo del lavoro domestico in sede di dichiarazione dei redditi; abolire le retribuzioni convenzionali e introdurre una aliquota legata alla retribuzione effettiva; prevedere nuove forme di prelievo fiscale per le colf perché possano pagare le tasse con una rateizzazione meno concentrata e elevata; dividere il lavoro domestico dal lavoro di assistenza alle persone, inserendo quest'ultimo nella rete dei servizi sociali di sostegno alla famiglia.

"Senza una presa in carico forte da parte dello Stato - spiegano le Colf - l'irregolarità nel lavoro domestico è un circolo vizioso spesso legato a fattori di reciproca convenienza: la famiglia risparmia non pagando o pagando meno contributi, la lavoratrice guadagna qualcosa in più, rinunciando a diritti previdenziali e assistenziali di cui difficilmente riuscirebbe a godere per l'esiguità della copertura assicurativa, oltre ai problemi legati alla debolezza del sistema previdenziale transnazionale". Le proposte delle Acli Colf mirano dunque a spezzare questo circolo vizioso rendendo appetibile per entrambe le parti - famiglie e lavoratrici - la regolarizzazione del lavoro domestico.


 

Maglia nera alle telecomunicazioni per il terzo anno di fila. Il settore delle tlc, infatti, è risultato il servizio più criticato dai cittadini nel 2008: i cittadini in questione sono quelli che si sono rivolti al Pit servizi di Ciattdinanzattiva che oggi ha presentato la IX Relazione dal titolo - significativo - "I consumatori pagano il conto".

Al secondo e terzo posto di questa classifica "all'ingù" si piazzano, rispettivamente, la pubblica amministrazione e i servizi pubblici locali. "La Relazione è solo il punto di partenza - ha commentato Teresa Petrangolini - segretario generale dell'Associazione - che indica la strada da percorrere per il futuro. Cittadinanzattiva sarà impegnata nel futuro a rafforzare il sistema di tutela, a rafforzare il ruolo delle Autorità di Vigilanza che devono essere sempre più indipendenti, tempestive e trasparenti. Infine è necessario rafforzare il ruolo dei cittadini tramite la valutazione e la partecipazione civica".

Il Pit ha raccolto nell'anno passato 8330 segnalazioni, +25% rispetto al 2007 quando erano stati "solo" 6643 i cittadini a rivolgersi al servizio di Cittadinanzattiva che fornisce gratuitamente ai cittadini assistenza e tutela dei diritti nei servizi di pubblica utilità. Il 36% dei cittadini che si rivolgono al Pit, che nel 48% dei casi provengono dal Sud e dalle Isole, hanno bisogno di essere assistiti perché da soli non riescono a risolvere i disservizi che hanno subito; il 24 % richiede, invece, una consulenza; un altro 24% un'informazione infine il restante 16% mette a conoscenza l'Associazione di un reclamo inoltrato alla Società. Quanto allo status dei casi, si registra un successo di Cittadinanzattiva che nel 70% delle volte è riuscita a risolvere il caso soppotosto; il 17% dei casi è avviato a soluzione; il 10% è pendente e il 3% è la quota dei casi che non sono rivolti direttamente all'Associazione per cui non si prevede un intervento diretto.

Elementi ricorrenti per cui i cittadini hanno scelto di rivolgersi al Pit sono i più svariati e sono stati ricompresi sotto queste categorie: l'aumento del costo della vita e la conseguente perdita del potere di acquisto relativamente a quelli che sono considerati beni di prima necessità come la luce, il gas o l'acqua; l'impossibilità di accedere o sostenere i costi dei servizi; la crisi dei diritti; l'inadeguatezza delle forme di tutela; la "controriforma" Bersani.

I disservizi sono stati valutati e classificati tenendo presente la Carta dei Diritti dei Cittadini che Cittadinanzattiva ha promosso nel 2000 e nella quale sono elencati i diritti fondamentali che dovrebbero essere sempre garantiti ai cittadini. Ebbene, i diritti più frequentemente violati sono il diritto all'informazione (particolarmente nei settori delle tlc, della pubblica amministrazione e dell'energia); il diritto al servizio (particolarmente nei settori delle tlc, dei servizi locali,e dei trasporti) e il diritto alla sostenibilità economica (particolarmente nei settori bancario, dell'energia e delle telecomunicazioni).

Ritornando alla classifica dei settori più criticati, diamo uno sguardo ai singoli settori soffermandoci sui primi tre della lunga lista rimandando al sito dell'Associazione per una più approfondita analisi: nel settore delle telecomunicazioni - che ricordiamo si classifica al primo posto della classifica dei più criticati - gli ambiti dove si riscontrano le maggiori criticità sono la telefonia fissa (61%), telefonia mobile (25%), internet (11%) e pay tv (3%). Nel settore della pubblica amministrazione gli ambiti peggiori sono: multe (27%), fisco (23%), pratiche amministrative (20%), welfare (15%), sicurezza (13%) e la giustizia (3%). Nel settore dei servizi pubblici locali, infine, i disservizi principali riguardano l'acqua (56%), i rifiuti (16%) e il trasporto pubblico locale (11%).

 

DIALOGO APERTO
LA NEWSLETTER
Archivio